martedì 16 giugno 2020



PillolOne
Le pilloline singole

Maschera lupo mannaro animata deluxe. Consegna 24h | Funidelia

Giù il siparietto.

Ho rivisto Un lupo mannaro americano a Londra, un film perfetto: corto, conciso, in bilico tra un horror quasi splatter e una commedia demenziale (un equilibrio stabilissimo).

Immagino andare oggi da un produttore con una storia del genere:
"Ma come si ride? Non è un horror? E i maiali nazisti ammazza famiglia che c'entrano? Troppo! Il pubblico non capirebbe, cristo! E quello schifo di amico putrescente e maciullato, così visibile in tutti i suoi particolari? Non si può mettere un fantasma, è più carino! E poi si vede l'uccello! Non quello dello zoo, cioè, si vede proprio lì... Ma l'uccello del protagonista! E ruba - nudo! - i palloncini a un bambino! Cristo e ri-cristo, ma non è un film di genere?!

Pressapoco reagirebbe così, credo... e non pensate che andare da un editore di fumetti sarebbe molto diverso.

Per poco più di una decina d'anni, tra la fine dei sessanta e la fine dei settanta, Hollywood fu, per la prima volta e mai più, completamente anarchica e rivoluzionaria, totalmente in mano a registi, sceneggiatori e attori che facevano quasi tutto quello che volevano con soldi che piovevano, senza battere ciglio, da parte della produzione.

Il cinema americano con l'arrivo della televisione aveva perso moltissimo e Hollywood, vedendo quei pazzi europei che facevano i film artistici che piacevano tanto ai giovani della controcultura - che all'epoca erano "I giovani" e avevano un peso enorme nella società americana - cercò di adeguarsi, arruolando ogni sorta di artista pazzoide megalomane anarchico.

Poi è arrivato Guerre Stellari e tutto è finito. Non do colpa "alla forza" di questo, sarebbe finita prima o poi, comunque: l'immaginario anarchico al potere è troppo pericoloso e chi lo sa usare  bene difficilmente è addomesticabile.
Ma è incontestabile che Lucas, e pure Spielberg, hanno riportato il cinema ad un affare di pop-corn, occhioni meravigliati e lobi frontali spenti, tornando a farlo in quel modo estremamente retorico che è caratteristica costante del cinema Hollywoodiano ancora oggi.

Un lupo mannaro americano a Londra è degli '80 e Landis fa parte della stessa generazione degli Spielberg e dei Lucas, ma era più fou e, per fortuna, l'onda lunga delle rivoluzioni ci mette un po' prima di infrangersi, così riuscì a fare, nonostante fosse cambiato il vento, dei film pazzi ma allo stesso tempo popolari. Un grande regista.

Giù il siparietto.

domenica 14 giugno 2020

PillolOne 
Le pilloline singole



Su il siparietto.

Qui a Tobruk oggi c'è aria fresca. Sente un poco di cenere, ma arriva, per lo meno.
Oggi un tassista della bergamasca - no, non sono stato a Bergamo e non sono stato su un taxi - mi ha chiesto cosa pensassi sulla questione statue, sulla questione filmoni.
Gli ho detto: "lascia stare, che me ne frega a me che vivo a Tobruk?"
Ma lui ha insistito.
Ho ribadito:"lascia stare che si incazzano, poi."
Ma lui ha insistito.
Così gli ho risposto con le parole del sommo: "quante stupide galline che si azzuffano per niente." Perdonatemi, ma ero sotto pressione! E galline italiane, si intende, di là dall'oceano sono ben altre faccende.
In Umbria hanno cambiato la legge sull'aborto: proibiscono quello meno invasivo: promuovono la macelleria.
Come diceva Giuzzi di Montichiari, noto beone che teneva nella tasca destra della giacca "Il prontuario contro le bestemmie", perché bestemmiava, pace all'anima sua... Ai poster l'ardua sentenza.

Giù il siparietto.

mercoledì 27 maggio 2020

PILLOLINE

Su il sipario.
Se non ricordo male avevo circa 6 anni, mia madre faceva la parrucchiera e il negozio era stato ricavato dal garage di casa. Di sera, dopo cena, andavo di là, chiudevo la porta e partivo per lo spazio più profondo. Mettevo i carrelli di plastica grigia, quelli dove mia madre teneva i ferri del mestiere, uno a destra e uno a sinistra, mi sedevo sulla poltrona lava capelli, mettevo il casco asciuga capelli sulla testa e di fronte la console con i trucchi che era piena di specchi e somigliava, con le ciprie e i rossetti colorati, ad una plancia d’astronave; ed eccomi, volavo alla velocità della luce. Lo studio nuovo dove lavoro, nell’appartamento nuovo dove adesso vivo, ha la stessa forma di quel gioco spaziale.
Provo a spiegarmi. Non ce l’ho con i giovani che non seguono le regole, sono giovani e delle regole devono cercare di fottersi; ma non capisco perché buttare tutto per terra, nel verde, quello è da deficienti e soprattutto ha il senso di beffa della “sega cinese”, che consiste in questo: ci si da delle martellate sul membro disteso su una superficie, apposta, e quando si sbaglia, il membro, quella mancanza di dolore è il godimento.
Anacoluto. L’anacoluto, figura retorica bellissima, ci insegna che la pazzia può accomodarsi anche dentro le regole ferree. L’anacoluto è quello che mi interessa nelle storie: inserire elementi che non c’entrano nulla, per rompere la linea retta.
Zia abitava l’appartamento dove mi sono trasferito da qualche giorno. Casa numero 8, nel senso che quest’ultima è l’ottava casa in cui vivo, senza calcolare la casa dei miei genitori dove sono cresciuto. Una vita un po’ zingara. Quando venivo a trovare zia, la trovavo lugubre: così piena di mobili scuri, pizzi e merletti e lampadari penzolanti. Adesso che l’ho resa mia, la trovo molto bella: di giorno è innondata di luce; c’è un glicine sul balcone. Mi pare Casa da sempre.
Insisto su una cosa: non vedo scrittori italiani della mia generazione o più giovani, che possano lasciare il segno. Perché dico “vedo”? Perché se ne stanno tutti in video da qualche parte. Poi sono tutti per i diritti di ogni tipo e genere, onesti, educati, sempre d’accordo, brave persone insomma. Qualcuno gli dica che i veri scrittori non sono mai brave persone.
Alle 12.40 circa, dopo pranzo, quando ero in ospedale e c’era l’estate, mi facevo portare da mio padre giù al piano terra, fuori, nel poco spazio con un poco di verde, per pigliare un po’ di sole in faccia e provare a sentire la vita. Mi spingeva con la carrozzella in una specie di percorso circolare, poi mi facevo mettere in un angolo, vicino alla porta d’entrata, all’ombra e guardavo la gente che andava e veniva. Li invidiavo: camminavano; erano esseri umani. Io chiedevo a mio padre di nascondere con la felpa la sacca di piscia che penzolava vicino alla ruota. Per fortuna non scorderò mai quel periodo, oggi, proprio in questi giorni, rido felice.
L’ora tarda rende tutti vulnerabili e mielosi, avete mai notato che dopo mezzanotte le cose diventano più morbide? Gli oggetti, intendo: le cose! Toccateli prima di mezzanotte e dopo mezzanotte e se ascoltate bene, sentirete una certa mollezza atomica sotto i polpastrelli.
Erodiade di Flaubert, lo trovo uno dei racconti più sensuali che mi sia capitato di leggere. La prosa di Flaubert è sensuale, ma in più c’è la morte e, anche se vi sembra lugubre, dove c’è la morte c’è sensualità; non nel senso necrofilo, ma al contrario: la certezza della morte è benzina della vita, ci spinge a vivere tutto.
Giù il sipario.

domenica 17 maggio 2020

PILLOLINE


Su il sipario
Fare fumetti, come fare qualsiasi altra “cosa artistica” non ha un'importanza specifica, oserei dire che non ha nessuna importanza. L’arte è un’esperienza umana proprio nel senso che non ha uno scopo. L’arte è effimera, non serve alla vita – in senso meccanicistico – questa è la sua grandezza: una delle caratteristiche che ci distingue dall’animale è poterci permettere di divagare.
Unite i punti e avete una linea, cioè “il segno”. La linea se fa un percorso che descrive qualcosa di universalmente riconoscibile, diventa “il disegno”. Se a questa figura riconoscibile unite un testo comprensibile, avete un fumetto. Senza testo è un’illustrazione. Senza testo ma ripetuta in diversi movimenti o situazioni abbiamo di nuovo un fumetto. Non è difficile: il fumetto è disegno che descrive un oggetto (o figura) che si muove in sequenza non continua.
Mi sento di confessare che delle polemiche sul fumetto, chiamato in modi diversi da “fumetto”, non me ne frega nulla. Trovo il vocabolo “fumetto” brutto e ridicolo, ma ormai è questo il nome e chi se ne importa. L’importante è non farci delle crociate di fede su qualcosa che ha lo stesso nome del brodetto fatto con la testa e le interiora del pesce.
Escatologico è un termine che potrei attribuire a molti discorsi che sento sul fumetto. Per me c’è una verità nella percezione che ancora persiste del fumetto, visto come una “sorta di gioco per bambini”. I fumetti non sono all’altezza delle altre discipline artistiche (odio la parola disciplina, mi sa di gabbia), questo è il sentire comune. Naturalmente è una scemenza: credo che, per esempio, in Italia la letteratura contemporanea sia fiacchissima rispetto al fumetto contemporaneo. Però è vero che vedere cinquantenni impazzire per i pupazzetti di Batman o sfoggiare finte spade laser, è sconfortante.
Tutto scorre, Panta Rei. Non c’è traccia di questa parola nei pochi scritti di Eraclito, ma il concetto lo si è attribuito a lui con un certo buonsenso. Il fumetto è Panta Rei, se non scorre non è fumetto. Non solo nel senso “pratico” di lettura, intendo che se non passa al lettore, se no c’è un flusso continuo tra vita-autore-libro-lettore-vita, non credo sia un buon fumetto. In questo il fumetto è arte: se non fa scorrere la vita (effimera!) tra e nelle persone, non è fumetto. Chi proclama una “vita di merda” a ogni spiffero, non è un fumettista.
Tutto torna: l’arte non serve; il fumetto non serve. Se la grandezza sta nell’effimero, che è per concetto accattivante, nella caducità del tutto, capirete che tutto ha la stessa importanza, cioè nessuna importanza, per contrasto. Dunque mi chiedo sempre perché i fumettisti – o gli illustratori – si offendono quando gli dicono che “non fanno un lavoro”. Altra cosa è l’essere pagati: lì divento positivista, perché sono (anche) un vizioso.
Ora è chiaro, lo è almeno per me, che il fumetto, come tutti gli ambiti che tendono a fare “ghetto”, sbagliano il bersaglio, perché laddove ci si chiude in spazzi impermeabili l’aria diventa fetida e la muffa prende il sopravvento. Perciò taglierei di netto la querelle che riguarda il concetto di fumetto come termine: chiamatelo come volete, come fate con i figli o i cani. Perché nelle lamentele dei “fedeli” si annusa odore di cancrena, mentre il Fumetto, o Alcide, o Tippi Hedren, o Bicicletta, non ha bisogno di essere rinchiuso in stupide congetture.
Giù il sipario.

giovedì 14 maggio 2020

PILLOLINE


Su il sipario.
Non sopporto molto i riti, se non hanno natura mistica. Tipo quella cosa del caffè al bar fatto in un certo modo se no non sei italiano e che diavolo lo bevi a fare se non lo sei? Intanto me lo bevo come voglio io il caffè, che son maggiorenne e poi manco è tutta sta roba. Pensate pure che ci sia qualcosa di importante dietro o addirittura qualcosa che vi distingue come popolo. Non stavo più parlando (solo) di caffè.
Anassimandro diceva, pressapoco, che tutto è fatto di cose limitate, ma se le cose limitate continuano, nascono e poi muoiono, senza interrompere mai il ciclo, se da un positivo si stacca un negativo che si attacca a un nuovo positivo, si ha il divenire perpetuo, cioè l’eternità. Almeno così l’ho capito io. Non so se è giusto, ma mi pare affascinante che ogni cosa nasca dalla fine di un’altra e che tutto sia continuo. Bisogna accettare che il nostro è solo un eco che rimbalza all’infinito.
Sono mediamente simpatico, credo. Di sicuro non sono un mattatore. Qualche volta, se sono a mio agio, mi viene qualche battuta buona. Forse è la natura bresciana, sempre un po’ schiva. Oggi sono tutti simpatici, molto, troppo! Non parlo di questioni precise, dico nella normalità quotidiana. Non lo sopporto più: troppa simpatia fa rima con gigionerìa e diventa asfissiante. Si usa l’ossimoro: “Ti do un cazzottone di fiorellini”. Anni fa, avevo vent’anni circa, uno mi dice: “Togli la mano di lì! Ti taglio la gola e ci cago dentro!”… Era un amico e si trattava di cosa futile.
Tanta passione per la natura e amore per gli animali, mi si presentava una volta una ragazza. Diceva che gli animali, e la natura, sono migliori degli uomini. Io le dissi che “migliore”, o il suo contrario “peggiore”, sono giudizi dati dall’etica o comunque dalla coscienza e che la natura, e a quanto pare nemmeno gli animali, o almeno la maggior parte di loro, la coscienza non ce l’anno; dunque gli animali, e la natura, non possono essere ne migliori ne peggiori degli uomini. Non ci vedemmo più molto spesso.
Ritorna il problema “simpatici piacioni”. Guardo fra i colleghi farsi i complimenti, sempre, manco fossimo tutti dei geni bravissimi, comunque, uno dice all’altro: “Mi è caduta la mascella” per sottolineare la bellezza del disegno dell’amico. Ma che complimento è? Se ti cade la mascella è una tragedia! Ed è pure colpa mia! Perché non tornare a dire “bello”, o aggettivi simili? Ho anche deciso che userò il cuoricino solo per le femmine e il pollicione solo per i maschi.
Odio i delatori, a meno che non si tratti di crimini gravi, ma quelli si chiamano testimoni e sono doverosi. Girando per il mio paesello ho visto gente, di tutte le età compresi i vecchi, fuori dai bar a fare l’aperitivo: mascherato, un po’ di nascosto, ma comunque aperitivo. Io ci vivo nel bar, il bancone mi saluta quando mi siedo e non mi interessa farvi sapere se per me sia stupido farlo con l’emergenza ancora in corso, però mi da da pensare il fatto che siamo una società basata sull’aperitivo. Il vero segno della libertà personale: l’aperitivo! Ci sono dei dementi che parlano di “guerra”, di “gente alla fame”, fuori da un bar, con il bere camuffato e lo sguardo complice, urlano “me ne frego!” E poi si lamentano che lo stato non fa nulla.
Giù il sipario.

sabato 9 maggio 2020

PILLOLINE

Su il sipario.
Siryl! Si chiamava Siryl. Era una donna bellissima, un’attrice. Che entrasse in una stanza o passeggiasse in qualsiasi punto della terra, il mondo si fermava a guardarla, come in una ripresa al rallentatore. Era davvero impossibile non soffermarsi sulla sua bellezza, che non era per nulla artificiosa, ma anzi solare, con quella sottile ombra di “tocco del demonio”: lo sguardo era nero e penetrante, le forme di carne liscia e rotonda, ogni parte fremente e irresistibile.
Tutti volevano recitare e flirtare con Siryl, soprattutto quei giovani attori che speravano in una scena d’amore con lei: non potendo entrare nel suo cuore, si accontentavano di appoggiarsi sulle sue labbra e di sfiorarne le forme perfette, pur sapendola finzione. Però, Siryl, aveva un segreto. Un maledetto segreto, che si manifestava solo con lo starle vicino: il demonio l’aveva toccata in ogni parte e, fedele alla sua natura, oltre a darle dono di una bellezza folgorante le aveva dato anche un alito pestilenziale!
un metro da lei già si iniziava a sentire un fetore pungente, a mezzo metro ci si domandava chi era morto e a pochi centimetri il morto era chi le stava di fronte. Non c’erano rimedi, ne chimici, ne naturali: spray, mentine, collutorio; nulla funzionava. Con il demonio non si scherza. All’inizio molti, i più resistenti, facevano finta di nulla, finché era possibile; d’altronde alla perfezione di una bellezza divina si concede più di un’indulgenza, ma poi, anche i più innamorati o le più incantate, cedevano vergognandosi di rinunciare alla fortuna di essere arrivati fin lì, a quei pochi centimetri dalla gloria!
Raramente ho visto un tale spreco, disse un produttore navigato. Come capirete la sua carriera d’attrice durò il tempo di un lampo, ma la sua storia non finì male, anzi: terminò con il classico lieto fine. Su un set, in verità l’unico set che calcò nella sua avventura da attrice, conobbe un famoso regista. Non era il regista del film: quella pellicola a cui partecipava come coprotagonista era una commediola sentimentale di poco valore; ma il “famoso regista” venne in visita, invitato dall’amico produttore. Sta di fatto che, nel disorientamento della troupe che non capiva come quel “maestro” abituato ad avere ogni sorta di starlette ai suoi piedi potesse flirtare così da vicino con Siryl, la loro relazione prese avvio.
Si sposarono da lì a poco e la relazione, con alti e bassi – si sa come sono i registi – durò per molti anni. Il perché è presto detto. Si fecero molte congetture su un probabile difetto di olfatto dell’artista, ma in verità, fonti certe, che lo conoscevano bene, confermarono che il regista era uno di quelli con “la puzza sotto il naso”: quelli famosi per il loro intelletto e soprattutto per frequentare i salotti che contano. Certo che Siryl, per questo motivo, dovette mettersi un po’ in secondo piano, ma non le dispiaceva: era innamorata! Ebbero anche due figli e caso vuole, o forse ancora lo zampino del satanasso, uno era muto. Naturalmente rinunciarono alla vita mondana, anche se pare che adesso, in questi giorni di mascherine e distanza, si senta più tranquilla e abbia ripreso quel poco di vita sociale che è concessa a tutti noi.
Giù il sipario.

Compagni di sbronze