sabato 2 maggio 2020

PILLOLINE

Su il sipario.
A ripensarci, ho avuto una vita piena. Lo scopo non è di lasciare un segno, infondo chi se ne frega dei miei segni. Lo scopo è continuare il più possibile ad avere una vita piena, ancora per molti anni. Ricordo in America, USA, a Los Angeles, quando passando per una strada secondaria vidi Al Pacino, seduto al tavolo, dentro un bar, con una persona sulla sedia a rotelle. Sono entrato, mi sono accomodato di fronte ad Al, a circa due metri, ho ordinato e fatto il cliente. Il locale era vuoto a parte noi tre e lui mi ha notato. In un attimo eterno, per alcuni secondi, ci siamo fissati negli occhi. Che cosa voglio dirvi con questa storia? Niente! Però il pensiero di Al Pacino che si chiede: “Ma che cazzo hai da guardare!?”…
Mi sono fatto un’idea sulle persone e spesso è negativa, ma è anche vero che vengo smentito con qualche frequenza. La cosa che voglio precisare è che la maggior parte delle persone sono “buoni diavoli”, più di quello che si racconta o si percepisce, però, in maggior parte, sono poco interessanti. Non hanno molto da dirmi. Ammetto che posso essere io a non saper ascoltare.
E c’è un’altra cosa che ho notato negli ultimi anni – l’invecchiare è un terzo occhio che ti si apre piano piano al centro della fronte se sei un’esploratore, altrimenti se ne sta chiuso fra le natiche: le persone interessanti non fanno (quasi) mai parte degli “intellettuali”, dei “colti”, dei “Topi di biblioteca”, degli “artisti”, ma hanno sempre a che fare con la terra, lo sputarci sopra e vedere oltre le nuvole guardando attraverso il cielo.
Ritto al bancone: braghe di jeans; giubbotto di jeans; cappello bianco, sgualcito e sudicio, da cowboy; capelli unti che arrivano fino sotto le orecchie; dita gonfie, cristo se erano gonfie! Sempre a Los Angeles, sempre un bar: primavera del 1999, a un metro da me c’è Mickey Rourke, ci beviamo una birra, forse una Miller. Non insieme! Mica lo conosco. Era lì con due “pupe” un poco smandrappe, con tutta la mercanzia di fuori e un piccoletto in giacca e cravatta urlante, che pareva pagasse tutto. Io guardavo, dentro la vita.
In vita mia non ho mai chiesto un autografo, la trovo una cosa stupida, anzi da maniaco omicida: quell’orrenda sensazione di portarsi a casa il pezzo di un’altra persona, un pezzo senza vita che se ne starà nel cassetto a far finta di essere qualcuno che conosci intimamente.
Culp, Robert Culp, anche lui ho visto sul Sunset Strip: urlava sbronzo, fuori fino alla cinta dal finestrino di una Limousine nera. A Santa Monica passeggiavo sulla promenade distratto dalle bellezze californiane fatte solo di bikini e mi sono scontrato con Goldie Hawn, piccola, molto, ma con un corpo perfetto, aveva 54 anni all’epoca e li portava da vera bionda! Ho visto pure “Arnold“, l’attore che lo interpretava di cui nessuno ricorda mai il nome, Arnold faceva l’inviato per qualche rete televisiva alla premiere di un film. Ne ho visti molti altri di attori, una volta Drew Barrymore, in fila in ciabatte a un Caffè, si è girata e mi ha squadrato con un certo interesse, o così ha letto il suo sguardo il mio ego. Ho vissuto un mese a Los Angeles, sempre in Motels di infimo ordine, a parte una settimana in appartamento con piscina a Beverly Hills, guidavo pure una Mustang cabrio, ma questa è un’altra storia.
A dirla tutta l’incontro più interessante è stato con un ragazzo, giovanissimo, mi disse di avere vent’anni ed era così bello da sembrare un attore, tipo Di Caprio. L’ho visto un paio di volte fuori dalla lavanderia a gettoni sul Sunset Boulevard, dove andavo a lavare i pochi panni che avevo. Era un barbone davvero cencioso, ma ancora nobile nella sua giovinezza. Viveva nel deserto, mi disse, perché là, in assoluta solitudine, poteva sentirsi vicino al suo Dio, che amava più di tutto: un amore che gli aveva perfino fatto dimenticare le numerose ragazzine del liceo che gli saltavano addosso ad ogni festa. Si sa che i barboni, di tutte le età, mentono su ogni cosa che li riguarda, però un giovane così intenso non l’ho mai più incontrato.
Giù il sipario.

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